Il codice civile italiano dettaglia le condizioni che determinano l’annullamento di un testamento a causa dell’incapacità naturale del testatore.
Tale incapacità non riguarda semplici anomalie delle facoltà psichiche, ma richiede la prova che, a causa di un’infermità transitoria o permanente, il soggetto sia privo completamente della coscienza del significato dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi al momento della redazione del testamento.
È fondamentale dimostrare che l’incapacità ha influenzato in modo totale la capacità del testatore di concepire e esprimere la sua volontà.
L’ira o l’ostilità verso persone pretermesse non invalidano il testamento a meno che non compromettano completamente la capacità di intendere e volere.
Gli stati passionali non sono causa di riduzione della capacità psichica, a meno che non portino il soggetto a un disordine mentale tale da privarlo temporaneamente della capacità di intendere.
L’onere della prova varia a seconda se l’infermità sia permanente o abituale, con presunzione di incapacità nel primo caso.
Nei casi di infermità mentale permanente, il carico della prova è sul soggetto che afferma la validità del testamento
Per le infermità intermittenti è necessario dimostrare che il testamento sia stato redatto durante un momento di incapacità.
Nel caso di testamento pubblico, il ruolo del notaio è delicato, quest’ultimo deve assicurarsi che il testatore abbia conservato una residua capacità di comprendere e manifestare la sua volontà. Sebbene non sia obbligato a richiedere certificati medici, deve essere attento alla serietà e coerenza delle volontà espresse. Il notaio non è responsabile se il testatore, al momento della redazione del testamento, è lucido, orientato e esprime volontà serie e coerenti.
Non è obbligatorio un esame medico del testatore, a meno che dalle altre prove non emergano elementi sufficienti per giudicare sulla sua sanità mentale.
Inoltre, l’inabilitato o il beneficiario di un amministratore di sostegno non sono privati della capacità di testare, salvo che il giudice tutelare limiti questa facoltà nel caso di condizioni psico-fisiche che non consentano una volontà libera e consapevole.