Sentenza Corte d’Appello di Brescia, 3 ottobre 2023, n. 1620

Premessa fattuale

Il Comune di XXX ha notificato a una società (concessionaria di un impianto per comunicazioni elettroniche) un’ingiunzione fiscale per il pagamento di 19.713,94 euro, a titolo di canoni di locazione per gli anni 2019-2021, relativi all’uso di un terreno comunale.

La società ha impugnato l’ingiunzione, sostenendo che il canone dovesse essere determinato secondo i criteri di cui all’art. 1, comma 821, della legge n. 160/2019, che impone agli enti pubblici un canone calmierato per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica (800 euro all’anno, salvo eccezioni).

Il Tribunale di Cremona, in primo grado, ha accolto l’opposizione, ritenendo che il canone fosse eccessivo e ha annullato l’ingiunzione fiscale.

Il Comune ha proposto appello, sostenendo la legittimità dell’ingiunzione e del canone applicato.

Decisione della Corte d’Appello

Il “canone antenne” da 800 euro non si applica ai beni disponibili: secondo la Corte, la norma non modifica il presupposto di applicazione, che resta l’occupazione di beni pubblici (demanio o patrimonio indisponibile).

1. Natura giuridica del bene

La Corte chiarisce che il terreno concesso in uso non appartiene al demanio o al patrimonio indisponibile dell’ente, ma costituisce un bene del patrimonio disponibile del Comune.

Pertanto, il Comune può gestirlo iure privatorum, cioè secondo le regole del diritto privato, come farebbe un qualsiasi soggetto privato.

  • Se patrimonio disponibile → contratto di locazione privatistica, quindi la PA può pattuire liberamente il canone.

  • Se patrimonio indisponibile o demaniale → si applicano i limiti imposti dalla normativa sulle comunicazioni elettroniche (canone calmierato).

2. Disciplina applicabile al canone

Proprio perché il terreno è bene disponibile, non si applica la disciplina vincolistica introdotta dalla legge 160/2019, che riguarda esclusivamente i beni pubblici in senso stretto (demaniali o indisponibili).

L’art. 93 (ora art. 54) del D.Lgs. 259/2003 limita i canoni richiesti solo per i beni pubblici (demaniali o indisponibili), non si applica ai beni del patrimonio disponibile.

Il canone pattuito contrattualmente (10.000 euro + IVA annui) resta pienamente valido ed esigibile.

3. Validità della clausola contrattuale

La clausola contrattuale che prevede un canone superiore a quello stabilito dalla normativa speciale non è affetta da nullità, poiché non viola alcuna norma imperativa nel caso concreto.

Infatti, non sussiste alcuna irregolarità giuridica, dato che le parti hanno liberamente concordato un corrispettivo per l’utilizzo di un bene disponibile, in un rapporto di natura privatistica.

4. Competenza giurisdizionale

La Corte conferma che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un contratto di locazione e non di una concessione amministrativa.

Il rapporto è quindi soggetto al diritto civile e alle norme codicistiche sui contratti.

5. Regime delle spese processuali

Poiché l’appello è stato integralmente accolto e la sentenza di primo grado integralmente riformata, la Corte condanna la società appellata alla rifusione delle spese legali di entrambi i gradi di giudizio.

Conclusioni

L’area oggetto del contratto è parte del patrimonio disponibile del Comune, perché:

    • non è dimostrata una volontà espressa e attuale dell’Ente di destinarla a un pubblico servizio (requisiti imposti dall’art. 826 c.c.);

    • l’uso da parte di un privato per un servizio di pubblica utilità non muta la natura privatistica del bene;

    • la locazione è avvenuta senza gara pubblica, tipica invece delle concessioni su beni pubblici.

Il terreno in questione è un bene del patrimonio disponibile del Comune, non soggetto al vincolo pubblicistico della legge 160/2019.

Di conseguenza:

    • Non si applicano né l’art. 93 (ora 54) né il canone fisso da 800 euro.

    • È legittima la pattuizione contrattuale del canone (€ 10.000 annui + IVA).  Il canone contrattuale resta valido e deve essere integralmente corrisposto dalla società.

    • La clausola che fissa tale canone non è nulla, perché non contraria a norme imperative.
    • Revocata la sentenza di primo grado → il Comune ha diritto alla somma richiesta.

 

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