Il tema dell’affidamento diretto da parte delle pubbliche amministrazioni a società controllate è oggi quanto mai centrale, alla luce del continuo dialogo tra normativa europea, giurisprudenza e legislazione nazionale.
Cos’è l’in house providing?
L’in house providing rappresenta una modalità di gestione pubblica alternativa al mercato, che consente alle pubbliche amministrazioni di affidare direttamente beni e servizi a soggetti giuridici formalmente distinti, ma sostanzialmente assimilabili a proprie articolazioni interne. Questa deroga alle regole di concorrenza è ammessa solo in presenza di requisiti rigorosi, che assicurino la natura “organica” del soggetto affidatario rispetto all’amministrazione affidante.
I presupposti fondamentali
La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE – a partire dalla celebre sentenza Teckal (C-107/98) – ha chiarito le condizioni affinché l’affidamento diretto sia legittimo:
- Controllo analogo: l’amministrazione deve esercitare sull’ente affidatario un controllo simile a quello esercitato sui propri servizi.
- Attività prevalente: oltre l’80% dell’attività del soggetto affidatario deve essere svolta in favore dell’amministrazione controllante.
- Assenza di capitale privato (salvo eccezioni rigorose): la partecipazione privata non deve comportare alcuna influenza dominante o potere di veto.
Dalla giurisprudenza alla legge: la normativa europea e il recepimento italiano
Le direttive europee del 2014 (24/UE, 23/UE e 25/UE) hanno codificato l’istituto, recepito in Italia con il d.lgs. 50/2016 e, oggi, aggiornato dal nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023).
L’art. 5 del nuovo Codice ribadisce i tre presupposti principali e introduce nuove fattispecie:
• In house inverso: l’organismo controllato può affidare direttamente alla PA controllante.
• In house orizzontale: due società controllate dalla stessa PA possono affidarsi appalti reciprocamente.
• In house frazionato: più PA possono esercitare congiuntamente il controllo analogo su un’unica società.
Il nodo delle società a capitale misto
Un tema delicato riguarda la partecipazione dei privati nelle società affidatarie. Le nuove direttive consentono in casi limitati l’affidamento in house anche a società miste, purché la presenza privata sia:
- Prescritta da una legge nazionale;
- Conforme ai Trattati UE;
- Non determinante nella governance della società.
Tuttavia, la mancanza di un limite percentuale preciso e l’ambiguità sul concetto di “prescrizione legislativa” hanno sollevato numerose perplessità interpretative.
La giurisprudenza italiana (Cons. Stato, sez. III, n. 1385/2020) ha chiarito che in assenza di una legge specifica, la partecipazione privata è preclusa.
In house e organismo di diritto pubblico: due categorie diverse
È importante distinguere tra organismo di diritto pubblico e soggetto in house.
Mentre il primo è tenuto ad applicare la disciplina pubblicistica per l’affidamento di contratti, il secondo è esonerato dal rispetto delle regole concorrenziali solo quando agisce come prolungamento organizzativo della PA.
La differenza sta nella qualità del controllo esercitato: solo un controllo strutturale e diretto può fondare l’affidamento in house.
In house: eccezione o alternativa organizzativa?
Il dibattito è aperto:
• Secondo una prima lettura, l’in house sarebbe un’eccezione alle regole di concorrenza, giustificata solo in presenza di un “fallimento del mercato”.
• Altri ritengono, invece, che si tratti di una modalità organizzativa ordinaria, espressione del principio di autorganizzazione riconosciuto alle PA.
La posizione prevalente oggi, anche alla luce della sentenza Cons. Stato n. 1304/2016, è che l’in house rappresenti una delle tre forme ordinarie di gestione del servizio pubblico, accanto all’autoproduzione e all’esternalizzazione.
Le novità del nuovo Codice dei Contratti (d.lgs. 36/2023)
Con l’art. 7, il nuovo Codice conferma la parità tendenziale tra le tre forme di gestione pubblica:
• L’affidamento in house non richiede più la prova del “fallimento del mercato”.
• È sufficiente motivare la scelta in termini di economicità, tempestività e coerenza con l’interesse pubblico.
Conclusione
L’in house providing non è più un’eccezione da giustificare, ma uno strumento legittimo e strutturato di organizzazione pubblica.
Tuttavia, il suo utilizzo resta subordinato alla rigorosa verifica dei requisiti normativi, volti a garantire che il soggetto affidatario non sia un terzo sul mercato, ma una vera articolazione funzionale dell’amministrazione.